La mela e il sakè. Yasujiro Ozu

Yasujiro Ozu
Yasujiro Ozu

Considerato il più giapponese tra i registi giapponesi, Yasujiro Ozu (ma sarebbe più corretto scrivere Ozu Yasujiro perchè è consuetudine giapponese mettere prima il cognome e poi il nome; e già che ci sono chiedo venia per aver deliberatamente trascurato gli accenti) è stato autore di oltre una cinquantina di film tra gli anni Venti e l’inizio degli anni Sessanta (il suo ultimo film, Il gusto del sakè è del 1962). Va detto che i film di Ozu sono stati, fino a qualche anno fa, praticamente sconosciuti in Italia. Personalmente mi sono “imbattuto” in Ozu all’inizio degli anni Novanta, grazie a Dario Tomasi, docente e studioso del cinema asiatico e in particolare di quello giapponese, a cui ha dedicato diversi saggi tra cui due castori (Ozu e Mizoguchi) e una monografia su Viaggio a Tokyo uno dei film più belli e intensi di Ozu. Una decina di anni dopo, nel 2003, quarantennale della morte di Ozu, Fuori Orario mette in onda tutta la sua filmografia (credo 34 film, quelli sopravvissuti) nel corso di diverse settimane e, ovviamente, di notte. Molti di quei film sono una prima visione assoluta tanto che sono sottotitolati per l’occasione. Credo di averli registrati tutti in VHS e prima o poi dovrò decidermi di buttarli. Non sono un appassionato di cultura giapponese e quindi non so spiegare il motivo per cui mi affascinano così tanto i film di Ozu (ma anche Kurosawa, Mizoguchi, Ichikawa, Shindo, Imamura, Oshima, Teshigahara, Tsukamoto, Kitano). Per provare a spiegare la mia Ozumania rubo le parole a Dario Tomasi che nel suo castoro ha sintetizzato così bene quella che lui chiama l’”Ozumania”: “Ciò che mi ha sedotto del cinema di Ozu è essenzialmente la sua capacità di partire da situazioni contingenti molto precise e di saperle lavorare in modo da ridurle ai loro principi ultimi. (…) Tali situazioni diventano rapidamente poco più che pretesti per dar forma a sentimenti che sono il vero oggetto d’attenzione del regista. (…) Quest’ampia gamma di sentimenti umani finisce col venire ridotta a una sorta di consapevolezza, che i giapponesi chiamano mono no aware e che potremmo interpretare come la commozione estetica suscitata dalla cose del mondo.” Ciò che colpisce del cinema di Ozu è la capacità di calare nel quotidiano un’aura di sacralità, quello che altri (Paul Schrader) hanno chiamato lo stile trascendentale, uno “sguardo altrove” come sottolinea Tomasi. Se vi capita di leggere la trama di alcuni film di Ozu, soprattutto gli ultimi, rimarrete colpiti dalla disarmante ordinarietà del quotidiano: due anziani genitori che vanno a trovare i figli a Tokyo (Viaggio a Tokyo), un vedovo che vorrebbe che la figlia si sposasse (Tarda primavera e poi Il gusto del sakè), una coppia senza figli che conduce un’esistenza monotona interrotta dal tradimento del marito con una collega di lavoro (Inizio di primavera) ecc. L’ordinario, il quotidiano, le consuetudini sono per Ozu il punto di partenza, il contingente da cui partire per arrivare a quella stilizzazione che ha come fine ultimo la consapevolezza dell’esistente come “effimero e transitorio”. Questo processo di stilizzazione formale investe anche, ovviamente, il luogo della quotidianità per eccellenza, ossia la casa e, nella fattispecie la stanza da pranzo (non so se sia corretto definirla tale) caratterizzata in genere dal braciere, dai tatami e dal tavolo molto basso e da pochi mobili. Anche la macchina da presa nel corso degli anni sembra accovacciarsi all’altezza del tatami, in una posizione anomala che ben presto è diventata il marchio di fabbrica di Ozu (chi volesse approfondire può vedere il film di Wim Wenders Tokyo-Ga dedicato a Ozu, con preziose testimonianze da parte dei collaboratori di Ozu, in particolare il “suo” attore Chishu Ryu e l’operatore Yuharu Atsuta). Come dimostra il finale di Tarda primavera anche il semplice gesto di sbucciare una mela si carica di una straordinaria ricchezza emotiva assumendo un’intensità che, da una lato, raggela il cuore per il senso di abbandono e, dall’altro, commuove teneramente per la serena accettazione della caducità di tutte le cose terrene. “I critici e i registi sono come il sakè: più invecchiano e più sono buoni.” (Yasujiro Ozu)    

 

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Commenti: 3
  • #1

    Carlo Turco (mercoledì, 29 agosto 2012 22:39)

    Delizioso!

  • #2

    Guido Martini (giovedì, 30 agosto 2012 09:15)

    Lo ammetto: conosco Ozu solo di nome, ma anch'io convidido la sensazione di Valerio: "non so spiegare il motivo per cui mi affascinano così tanto i film" giapponesi. Amo molto Kitano Takeshi (giusto scrivere così, vero?) ma sono riuscito a capire nel profondo i suoi film (Kikujiro, Dolls... non tanto gli Yakuza-movie) solo grazie all'apposito "castoro". Penso che il cinema nipponico affascini proprio per questo "mono no aware", che per noi occidentali è un modo di guardare il mondo che forse abbiamo perduto. Ho detto.

  • #3

    valerio (venerdì, 31 agosto 2012 10:09)

    grazie!