C'eravamo tanto abbuffati

Stefano Satta Flores, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, "C'eravamo tanto amati", Ettore Scola, 1974
Stefano Satta Flores, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, "C'eravamo tanto amati", Ettore Scola, 1974

 Attorno al cibo, nel cinema di Ettore Scola, si svolgono scene importanti. Non c’è film, o quasi, in cui i protagonisti non si trovino, almeno una volta, riuniti a tavola per mangiare, certo, ma anche per parlare, per confessarsi parole non dette per troppo tempo, per litigare. Avevo già scritto, alcuni post fa, delle osterie a proposito di Pietro Germi. Vorrei invece soffermarmi adesso sulle trattorie di Ettore Scola. Che differenza c’è tra una trattoria e un’osteria? Non ne ho la più pallida idea, se non per la diversa etimologia. Diciamo, semplificando molto, che nell’osteria si va per bere, come ne Il ferroviere di Germi oppure in Novecento di Bertolucci (ricordo la scena in cui Ada-Dominique Sanda si ubriaca) mentre in trattoria si va per mangiare e poi bere (ovviamente non valgono le distinzioni di oggi in cui l’osteria, sdoganata da Slow Food, ha acquisito una connotazione “alta”). Con l’anniversario della morte di Troisi la tv ha trasmesso quasi tutti i suoi film tra cui Che ora è di Ettore Scola. Ne ho rivisto una parte, fino alla scena in cui, uscito dalla caserma, Troisi figlio va a mangiare in una trattoria con Mastroianni padre. Il pranzo è l’occasione per imbastire un discorso tra padre e figlio, inizialmente scherzoso e spensierato e poi, poco per volta, più serio, con un momento di forte contrasto perché Mastroianni è il classico padre buontempone, amicone, un po’ stronzo, spesso assente (ricordate il Walter Chiari de Il giovedì?) mentre Troisi è il figlio responsabile, con la testa sul collo, che si vergogna anche un po’ del padre cialtrone che lo mette in imbarazzo con battutacce. Seduti a tavola, Mastroianni ordina del vino bianco e poi un menu con portate a base di pesce (siamo a Civitavecchia), regala al figlio un orologio che era appartenuto al nonno, un regalo graditissimo. L’armonia si rovina quando Mastroianni pronuncia l’espressione “allucinante al massimo” tipico modo di dire giovanile. Il detto si riferisce a una sua relazione extraconiugale con una ragazza molto più giovane (che parlava usando questo idioma da “ggiovani”). E’ in questo momento che il discorso e la (finta) armonia tra padre e figlio si interrompe, i ruoli si invertono, il padre sbotta rivendicando il diritto a parlare come meglio crede senza per questo dover essere ripreso da un figlio bacchettone. Poi, lentamente, l’imbarazzo viene superato. Ma è solo una temporanea fuga perché il conflitto tornerà più avanti, questa volta in un bar fumoso molto simile a un’osteria, in cui Troisi figlio è di casa, benvoluto dai vecchi pescatori che frequentano il locale. E qui scatta, paradossalmente, la gelosia di Mastroianni padre nei confronti dei vecchi pescatori che sembrano averlo sostituito nella figura paterna, che sanno più cose loro su suo figlio di lui stesso. Mastroianni si accorge che quel figlio, con il quale non riesce a parlare, è invece così affettuoso (ricordo a questo proposito la scena della grappa) con Sor Pietro il vecchio gestore del bar. E così Mastroianni padre non trova altro di meglio che fuggire per l’ennesima volta. Scola ci ha abituati a scene come queste, a volte scegliendo il registro drammatico, altre quello comico, in entrambi casi con ottimi risultati. In C’eravamo tanto amati l’osteria “Dal re della mezza porzione” è il luogo del primo incontro tra Gianni-Vittorio Gassman e Antonio-Nino Manfredi ma anche della rimpatriata trent’anni dopo (“Re de la mezza! Me sa che manco stavorta te pagamo”; “Eh sai che novità”) oltre che del primo incontro tra Luciana-Stefania Sandrelli e Nicola-Stefano Satta Flores che ordina il mitico Picchiapò (manzo con pomodoro e cipolla). In La Famiglia le scene conviviali sono innumerevoli tra cui due particolarmente intense. La prima con Gassman e la Sandrelli in cucina, a sbocconcellare avanzi dopo che tutti gli invitati della festa se ne sono andati (“Il momento più bello delle feste è quando si resta soli a sparlare”), la seconda, tenerissima, ancora con Gassman, ormai vecchio, e il nipote Carletto-Sergio Castellitto. Le grandi tavolate della numerosa famiglia hanno lasciato il posto al più spartano tavolo in marmo della cucina. Gassman, suo malgrado, sta per mangiare una triste minestrina, Carletto, seduto di fronte, un piatto di spaghetti. Uno sguardo di complicità tra i due e poi Carletto imbocca il nonno con una generosa forchettata di spaghetti (“mhmm… boni!”). Ci sono poi i film che già dal titolo annunciano la loro appartenenza al “regno” alimentare, come La cena tutta ambientata da “Arturo al Portico” con la divertente sfuriata di Giancarlo Giannini al cameriere (“Questa non è una cotoletta, è la famigerata fettina panata! La milanese, sappia, che è alta un dito ed è cotta nel burro”; “Siamo mica a Milano…”; “E se ordinavo il salmone che cosa mi diceva? Non siamo in Norvegia?”). In Maccheroni i due protagonisti, Marcello Mastroianni e Jack Lemmon si gustano due “babà alla panna supertridimensionali con doppio schizzo” passeggiando in Galleria Umberto I, mentre nella scena finale il piatto di maccheroni fumanti lascia presagire un suo ritorno dall’aldilà. Chiudiamo con Hostaria, episodio de I nuovi mostri, e la celebre battaglia nel retrobottega tra Gassman e Tognazzi, mentre in sala, i commensali radical chic aspettano la specialità della casa ossia lo zuppone alla porcara: “E per secondo che cosa abbiamo?”; “Scottadito, polipo strascinato, straccetti de trippa, bollito alla scarpara, sarsicce strangolate, inguagghietto de spinaci, porpette cor sugo maritato, faggioli alla porcareccia, baccalà alla sdrucita… c’abbiamo tutto, volemo fa un bel mischio misto? Faccio io? Ve fidate?” Se fidamo.

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